venerdì 16 marzo 2012

PRESENTAZIONE DEL LIBRO INCHIESTA
" ROMA COME NAPOLI "

AUTORI:Manuele Bonaccorsi, Ylenia Sina, Nello Trocchia


Mercoledi' 21 Marzo ore 21.00 Valcanneto Centro anziani



Martedi 27 Marzo ore 18.00
Cerveteri Piazza Santa Maria (Case Grifoni)





Roma come Napoli, per un libro sulla situazione dei rifiuti nel Lazio, forse, è un titolo un po’ provocatorio. Ma centra il punto. Nel bene e nel male. I più penseranno sicuramente alla cieca logica dell’emergenza che ha dominato, per anni, le politiche sui rifiuti di entrambe le regioni. Quanti ricordano che il Lazio, prima dell’attuale crisi romana, è stato in emergenza per ben nove anni? Per i comitati che si battono per una strategia di gestione dei rifiuti alternativa a discariche e inceneritori, invece, Roma come Napoli, è una speranza: «Perché Napoli da qualche mese si è data un obiettivo, per costruire il suo riscatto – scrivono gli autori nella premessa – Ha iniziato la raccolta differenziata dei rifiuti, porta a porta, da Scampia, quartiere simbolo di degrado e abbandono».

"Roma come Napoli – Il malaffare di politica e signori della monnezza che mette in ginocchio il Lazio e la Capitale" (ed. Rx Castelvecchi) scritto dai giornalisti Manuele Bonaccorsi, Ylenia Sina e Nello Trocchia è prima di tutto un libro utile. L’emergenza rifiuti nella Capitale c’è ma non si vede. In questo caso, le immagini dei rifiuti per le strade che si sono viste a Napoli negli anni scorsi non reggono il paragone tra le due città proposte nel titolo. Questo perché i cittadini romani hanno potuto contare per più di trent’anni sull’enorme discarica di Malagrotta e sull’attività del “re della monnezza” romana, l’avvocato Manlio Cerroni, che opera in un regime di quasi monopolio nella regione guidata da Renata Polverini. Fin qui, nulla di nuovo. Anzi. Le pagine dei giornali nel tempo non si sono risparmiate su questo.

Ed è proprio qui che entra in gioco Roma come Napoli. La storia dell’emergenza, le responsabilità della politica, l’occhio lucido e analitico che aiuta a capire questa complicata fase di transizione verso il post-Malagrotta. E ancora. Il ruolo dell’Ama, dai tempi del fascismo allo sfascio di parentopoli, le voci dai territori e le inchieste sui territori, sia quelli già invasi dai rifiuti che quelli in rivolta contro le nuove discariche, il ritratto sconosciuto dell’uomo più discusso di Roma in tema di rifiuti, l’avvocato Manlio Cerroni, alcuni retroscena dei personaggi in campo. Nel libro non mancano preziosi spunti di indagine “sistemica”: «Se la produzione di rifiuti, come previsto per legge, diminuisse e la differenziata arrivasse al 65 per cento come da Piano rifiuti regionale, questo sistema potrebbe smettere di essere redditizio per il privato che si riavvarrebbe sulle amministrazioni pubbliche. Seguendo questa logica, il massimo di differenziata concessa per Roma è il 35 per cento». Nel libro le vicende dei rifiuti capitolini sono arricchite da passaggi inediti, fin’ora mai raggiunti dalle penne dei giornalisti, e da alcune interviste ai protagonisti delle vicende del pattume romano.

Non a caso, hanno già sollevato polemica le dichiarazioni dell’amministrazione delegato di Ama, Salvatore Cappello, che in una lunga intervista ha dichiarato: «Non conosco capitali europee che abbiano il 65 per cento di differenziata. Il limite di legge è irrealistico». Puntuale la ricostruzione dell’impero economico di Manlio Cerroni che con le sue aziende fa affari dalle regioni del nord fino alla Sicilia e alla Campania. Gli autori sono andati anche a Pisoniano paese natale dell’avvocato dove un anziano signore racconta: «Qui un tempo si viveva di olive e di vigna. Era tutto coltivato. Ma quando l’agricoltura è entrata in crisi sono corsi tutti da Cerroni».

EMERGENZA!

Un estratto dal primo capitolo del libro "Roma come Napoli – Il malaffare di politica e signori della monnezza che mette in ginocchio il Lazio e la Capitale" di Manuele Bonaccorsi, Ylenia Sina e Nello Trocchia (Rx Castelvecchi).

Che Paese è quello dove il più essenziale tra i servizi pubblici, la raccolta dei rifiuti, diventa un’emergenza? Dove i Comuni, le Regioni, il governo, per risolvere il più antico tra i problemi delle città – la pulizia e l’igiene – devono sospendere l’applicazione delle leggi? Assolversi dal rispettare le regole che stabiliscono i criteri del vivere civile? L’emergenza è l’emblema dell’Italia che cola a picco. È l’epifenomeno del cancro che sta svuotando le istituzioni del Paese. In Campania l’emergenza spazzatura è durata diciotto anni, dal 1994 si susseguono commissari straordinari, discariche fuori legge, indagini della magistratura su organi dello Stato che si macchiano di reati ambientali. In alcuni momenti a Napoli, la terza città d’Italia, si è rischiato il colera, un paradossale ritorno al medioevo. A Roma non si è giunti fino a quel punto. Non ancora, almeno. Ma la strada appare segnata. Nella degna capitale del Bel Paese sul baratro, l’emergenza rifiuti è iniziata solo cinque anni dopo rispetto alla città partenopea. Era il 1999, a Palazzo Chigi c’era Massimo D’Alema, al Campidoglio Francesco Rutelli, negli Stati Uniti il presidente era ancora Bill Clinton. Dodici anni dopo eccoci allo stesso punto. Poteri straordinari per risolvere la crisi determinata dalla chiusura di Malagrotta. L’uomo a cui il sindaco e la governatrice della Regione Lazio – la strana coppia Polverini-Alemanno, incapace di affrontare la questione per tempo – ha consegnato la gestione dei rifiuti, si chiama Giuseppe Pecoraro, il prefetto della capitale. Lo è dal 2008, quando la carica di rappresentante del governo a Roma viene sottratta a Carlo Mosca, colpevole di essersi opposto alla schedatura delle impronte digitali dei bambini rom, voluta dall’allora ministro di ferro Roberto Maroni.

I poteri di Pecoraro sono straordinari davvero. Il prefetto potrà non applicare le norme del testo unico ambientale (Decreto legislativo 156/2006) che riguardano la Valutazione ambientale strategica, la Valutazione di impatto ambientale e il Piano regionale dei rifiuti. Saltano le leggi che stabiliscono l’iter per l’approvazione di impianti di smaltimento e la bonifica dei siti contaminati. Si sospende l’applicazione di buona parte del decreto legislativo n. 36 del 2003, che recepisce le direttive europee in merito alle discariche di rifiuti, stabilisce quali sostanze possano legalmente essere gettate in discarica e le procedure per autorizzarne l’apertura. Con esso viene sospeso anche il decreto ministeriale del 27 settembre 2010, che regola «l’ammissibilità dei rifiuti in discarica». In particolare, l’ordinanza cancella l’applicazione dell’articolo 1, secondo il quale: «I rifiuti sono ammessi in discarica, esclusivamente, se risultano conformi ai criteri di ammissibilità della corrispondente categoria di discarica secondo quanto stabilito dal presente decreto». E nessuno controllerà, perché spariscono anche le «verifiche di conformità dei rifiuti». Insomma, nelle discariche d’emergenza potrà andare un po’ di tutto. Ancora: non è previsto nessun obbligo di rispettare le «norme sul diritto di accesso agli atti amministrativi» (Legge n.241/1990). Tra queste l’articolo 9, secondo il quale: «Qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento». In parole povere, gli atti del commissario sono segreti. Continuiamo: via le norme sull’espropriazione per pubblica utilità, cancellati 45 articoli del codice degli appalti pubblici; derogate le norme «sulla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive»; sospeso il Codice dei beni culturali, che sottopone alcuni interventi edilizi all’autorizzazione del ministero dei Beni Culturali; via ancora l’unica legge regionale del Lazio sui rifiuti (Legge 30 luglio 1998). E via derogando. Pecoraro potrà agire «al di sopra della legge». E poiché le leggi non sono uno scherzo, ma servono a difendere beni indisponibili dei cittadini (la salute sopra tutti), c’è da preoccuparsi.

Con questa «licenza di uccidere» le leggi, Pecoraro dovrà fare ciò che la presidente della Regione e il sindaco non sono stati capaci di fare: trovare un nuovo invaso che sostituisca Malagrotta, ormai destinato alla chiusura. Polverini e Alemanno per mesi hanno annunciato la chiusura della discarica di Roma, con manifesti, dichiarazioni, proclami solenni. «Entro una settimana avremo delle risposte sul problema Malagrotta», dichiarava il sindaco il 17 settembre del 2009. È la politica dell’annuncio. Alla quale, però, sono seguite le proroghe all’uso dell’invaso. Alla fine i due leader del Pdl si sono messi a fare un antico gioco da bambini: lo scaricabarile. Polverini diceva: «Attendiamo una lista di siti idonei dal sindaco Gianni Alemanno». Alemanno rispondeva: «Serve un sito non facente parte del comune, altrimenti ci sarebbe il paradosso di avere lo smaltimento dell’enorme massa dei rifiuti nelle aree più antropizzate». Polverini ribatteva: «Se il Comune ritiene di dover comunicare alla Regione che non ha trovato un sito è chiaro che ce ne occuperemo noi». Intanto il tempo passava. E si avvicinava l’emergenza.

Come non comprenderli, Alemanno e Polverini. Nessuno dei due vuole scontentare con nuovi buchi nauseabondi i propri elettori. Malagrotta, a Roma, è un marchio di origine controllata: vuol dire puzza, veleni. Stormi di gabbiani, ma senza il rumore del mare. Le elezioni si avvicinano e già Alemanno, tra parentopoli, buchi di bilancio e rimpasti di giunta, ha già troppi problemi per mettersi in guerra coi cittadini di un municipio della capitale. Anche l’ex sindacalista dell’Ugl catapultata in politica aveva altri pensieri: ad esempio garantire i vitalizi agli assessori «non eletti» della giunta, per tenere in piedi la sua fragile maggioranza. Quindi, nessuna decisione. Alla fine, nel momento delle scelte improrogabili, l’accordo è stato semplice: lasciare la patata bollente nelle mani di uno che non deve essere rieletto, un prefetto.

Si poteva evitare questa conclusione? Certo. Sarebbe bastato concentrare tutti gli sforzi nella raccolta differenziata, nel «porta a porta», e nella costruzione di impianti di trattamento moderni. Roma è fanalino di coda, tra le grandi capitali europee, per il riciclo. E gran parte del suo pattume va dritto in discarica, così come scaricato dai cassonetti. Servono dei soldi per cambiare rotta, certo. Ma i fondi pubblici si spendevano per sistemare «parenti e amici», per vitalizi, per appalti, consulenze e assunzioni utili a cementare il potere clientelare dei potentati della Destra al governo. Dopo le comunali, le europee, e poi le regionali, e poi le politiche e le nuove comunali. Di urna in urna, di favore in favore, si arriva alla crisi. La chiamano emergenza spazzatura, ma ad essere in emergenza è solo la politica.

La débâcle del Centrodestra nel Lazio ce la racconta nei dettagli un esponente molto importante del Pdl romano, che preferisce rimanere anonimo. Ormai è prossimo ad abbandonare il partito, dice di non poterne più di Renata Polverini, «una che decide tutto da sé, un tempo ascoltava solo Berlusconi, ora neppure lui». E di Alemanno, che ha soprannominato «Retromanno, per la sua incapacità di prendere qualsiasi decisione senza poi rimangiarsela e tornare indietro sui suoi passi». L’esponente politico ha deciso di chiamarci, di sua spontanea volontà: sta già pensando di cambiare casacca, di sostenere il presidente Pd della Provincia Nicola Zingaretti alle prossime elezioni comunali – «anche perché la sconfitta del Centrodestra è sicura», ci dice. Ma per ora preferisce non esporsi, non è ancora il momento dell’annuncio. «Quando Alemanno vince le elezioni a Roma si monta la testa. Lo capisco, avevamo espugnato il nemico nella sua fortezza. Ma lui pensò di essere un re, di avere la strada segnata per scalare il Pdl», dice la nostra «gola profonda». «Alle europee del 2009 Alemanno è convinto di sfondare. Mobilita tutto il partito romano, non solo quelli della sua area, per sostenere il “suo” candidato Potito Salatto, che aveva gestito le liste civiche a suo sostegno alle comunali. Gli va malissimo, Salatto a Roma prende appena 34mila voti e arriva sesto della lista per preferenze, prima di passare con Fini, in Fli». Per la marcia trionfale del neosindaco è uno stop inatteso. «Alemanno va su tutte le furie, crede di essere contornato da nemici. E prepara la vendetta per le regionali del 2010». E i problemi della città, le discariche, i rifiuti? «Passano in secondo piano. In realtà Alemanno aveva avuto l’idea che avrebbe risolto tutto: la nuova discarica di Allumiere. Ci hanno lavorato le teste migliori del partito per mesi».

Nel dicembre del 2010 il sindaco firma col ministro della Difesa Ignazio La Russa un protocollo per realizzare in un’area militare a Nord di Roma, nel territorio del comune di Allumiere, un nuovo invaso e una «città dei rifiuti», con gli impianti di trattamento. «Allumiere ha quattromila abitanti, le prime case del paese stanno a dodici chilometri dal sito scelto, e lì arriva perfino la ferrovia. Avremmo potuto trasportare i rifiuti con i treni merci. Ci saremmo tolti i monopolisti privati dai piedi, avremmo potuto anche abbattere la tariffa pagata dai cittadini. Era una scelta perfetta». La notizia, tenuta in gran segreto tra pochi politici e amministratori del Pdl, viene «sbattuta in prima pagina» da «la Repubblica» il 2 marzo 2011. «A quel punto succede l’impensabile. La Polverini si butta a muso duro contro il progetto, lo boccia senza appello. E “Retromanno” che fa? Si tira indietro, smentisce tutto». Ciò che l’esponente del Pdl non ricorda è che la scelta di Allumiere non era di certo così «perfetta»: nella zona c’erano infatti importanti vincoli paesaggistici. Ma quel che conta è ciò che il nostro interlocutore ci dice alla fine della conversazione. «Alemanno e Polverini si stanno distruggendo tra loro. Litigano su tutto, sono in guerra costante. Non parlano tra loro, al massimo si scrivono lettere sui giornali. La conseguenza è che non riescono a decidere niente». Il gioco delle assunzioni nella municipalizzata viene condotto da Panzironi, amministratore delegato dell’Ama, sodale di Alemanno. Il sindaco di Roma, va precisato, non è indagato nell’affare della Parentopoli in Ama e Atac, scoppiato all’inizio del 2011. E ha dichiarato: «Se fosse provata la mia responsabilità mi dimetterei immediatamente».

Cronaca di un’emergenza annunciata

Per capire il «disastro della spazzatura» occorre tornare indietro di qualche anno. Nel 1999 la Regione Lazio entra in «emergenza rifiuti». La logica è sempre la stessa. Si ripeterà esattamente dodici anni dopo. Cambiano i politici, cambiano le maggioranze – allora Centrosinistra, dopo oltre un decennio Centrodestra. Ma la materia è la stessa. La stessa politica incapace di scelte e di soluzioni, lo stesso monopolista privato. È il febbraio 1999 quando il governo di Massimo D’Alema dichiara lo stato di emergenza per lo smaltimento dei rifiuti a Roma e in provincia. L’allora presidente dell’Ama (Azienda municipale ambiente, che nella capitale si occupa della raccolta dei rifiuti), Gianni Orlandi, l’assessore comunale all’Ambiente Loredana De Petris (Verdi) e quello regionale Giovanni Hermanin (Margherita), chiariscono che il commissariamento «servirà per accelerare le procedure per realizzare e potenziare l’impiantistica». Falso, il ciclo di impianti immaginato allora non sarà realizzato nemmeno un decennio dopo. Il quadro viene completato nel luglio di quel 1999. Con un’ordinanza l’allora ministro dell’Interno Rosa Russo Iervolino – successivamente coinvolta nel disastro rifiuti napoletano, in qualità di sindaco partenopeo – affida a un commissario l’uscita della Regione Lazio dall’emergenza pattume. Il commissario era il presidente della Regione, il giornalista Piero Badaloni, in quota Centrosinistra. Come da prassi la politica, incapace di decidere per via ordinaria, commissaria se stessa e poi si affida il nuovo incarico. E come se decidessimo di cambiare la scuola di nostro figlio mandandolo a ripetizione dallo stesso corpo docente, ma privatamente. Non cambia nulla, ma si possono bypassare le regole.

Per giustificare l’emergenza si usa la scusa del «grande evento» a cui Roma si prepara da anni: il Giubileo. «Occorre procedere – recita l’ordinanza – all’immediato avvio di interventi straordinari, al fine di tutelare la salute pubblica e l’ambiente, in quanto l’attuale sistema infrastrutturale delle discariche esistenti, degli impianti per il trattamento dei rifiuti e il sistema della raccolta differenziata sono insufficienti rispetto alla enorme quantità di rifiuti che verranno prodotti in occasione del Giubileo». L’emergenza nasce per dare risposte a quell’evento, ma si comprende presto che superato l’Anno Santo la straordinarietà diventerà normalità. Le deroghe favoriscono abusi e corsie preferenziali. Tutto in nome di un problema urgente da risolvere, che spesso viene creato ad hoc. Il trucchetto ormai lo conoscono tutti, grazie all’operato dell’«uomo delle emergenze», l’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso, finito al centro dello scandalo sulla «cricca». Negli anni Novanta nel ruolo dei «Bertolaso» nel Lazio, troviamo tutto il Centrosinistra. Come abbiamo detto l’allora presidente della Regione, nominato commissario, era Badaloni. Al Campidoglio c’era Francesco Rutelli. L’opposizione grida allo scandalo.

Oggi sappiamo che pochi anni dopo il Centrodestra seguirà la stessa strada, e farà dell’emergenza uno stile di governo: il «governo del fare». Ma allora An e Forza Italia minacciano l’Aventino. Francesco Storace, futuro governatore del Lazio, Franco Frattini, futuro ministro degli Esteri, nel 1999 scrivono al responsabile della Giustizia, che in quell’anno era il comunista Oliviero Diliberto. Chiedono di sapere «quali iniziative intenda intraprendere a tutela della magistratura romana che, alle prese con un’indagine sulla gestione dei rifiuti a Roma e nel Lazio, appare soggetta a fortissime pressioni del governo. Che intende, attraverso provvedimenti ad hoc, affidare all’inquisito presidente della Regione Lazio, Piero Badaloni, proprio la gestione dei rifiuti durante il Giubileo». Nell’interrogazione si chiede inoltre se il Guardasigilli «non intenda sollevare in Consiglio dei ministri una questione di opportunità politica rispetto a una “mossa” dal chiaro tenore intimidatorio». Storace e Frattini, nei panni degli strenui difensori della legalità e dei magistrati, si riferiscono a un’indagine della Procura di Roma che indagava sull’affare rifiuti. I carabinieri del Noe avevano infatti appurato che la discarica di Malagrotta era sprovvista di autorizzazioni sin dal 1987. Alla fine non ci fu nessuna conseguenza penale per l’allora governatore della Regione Lazio.

L’autorizzazione definitiva per la discarica dell’avvocato Cerroni arriva pochi anni dopo, nel 2001. Solo che a firmarla c’è un nuovo commissario, il neopresidente della Regione Francesco Storace. Gli scherzi del destino raccontano che Malagrotta, «regolarizzata» nel 2001, dal 2008 sarà nuovamente utilizzata in proroga, per manifesta incapacità della classe politica. Lo stato d’emergenza, non termina quindi, come previsto inizialmente, alla fine dell’Anno Santo, il 31 dicembre del 2000. Con l’emergenza ci si prende gusto, e la nuova giunta regionale (Storace) e comunale (Veltroni), non intendono rinunciare ai voluttuosi poteri straordinari. Al contrario l’emergenza cresce, si allarga: nel maggio 2002 viene estesa anche alle altre province del Lazio, coinvolgendo di fatto l’intera regione.

Nel 2005 subcommissario all’emergenza era Marco Verzaschi. Tutto il suo passato è legato ai rifiuti: consigliere democristiano a Roma nel 1986, entra poi nel cda dell’Amnu, la progenitrice dell’attuale Ama. Nel 2000 diventa assessore all’Ambiente della giunta Storace, nel 2002 e fino al 2005 passa alla Sanità. Ma al ruolo di responsabile degli ospedali pubblici e convenzionati Verzaschi somma quello di vicecommissario all’emergenza spazzatura. Si occupava di sale operatorie e farmaci, ma pensava al pattume, con mirabolanti doti di certi politici. Nel marzo 2005, all’ultimo momento utile, una settimana delle elezioni, Verzaschi firma due ordinanze fondamentali, la n.14 e la n.16, che prendono il suo nome: con la prima autorizza l’allargamento della discarica di Malagrotta verso il centro abitato; con la seconda dà il via libera a Manlio Cerroni per la costruzione di un gassificatore di rifiuti all’interno della stessa discarica: un investimento da oltre 300 milioni di euro. Attenzione, le date sono importanti e i passaggi avvengono a distanza di pochi mesi. Nel luglio del 2005 Verzaschi passa all’Udeur. L’anno successivo diventa sottosegretario alla Difesa nel governo Prodi, ma lascia l’incarico nel dicembre 2006. Tre giorni dopo le dimissioni finisce ai domiciliari, accusato di corruzione e concussione per lo scandalo della Sanità laziale (il processo che lo riguarda è ancora al primo grado).

Con le elezioni del 2005, al duo Storace-Verzaschi subentra la coppia Marrazzo-Di Carlo. Il primo, il presidente, è il giornalista-politico che sarà travolto dallo scandalo dei trans (costretto a dimettersi nel 2010). Del secondo, assessore con delega anche ai Rifiuti, recentemente scomparso, resta memorabile il siparietto nel fuorionda di Report, quando confessò le mangiate di coda alla vaccinara con Manlio Cerroni: «Quello è uno all’antica, con chi vuoi che se le andava a mangiare le code, con Caltagirone?». Di Carlo ha sempre ammesso di avere un’amicizia fraterna con Cerroni. Molti sottolineano che è meglio gestire i rapporti politici alla luce del sole che nei sottoscala.

«Di Carlo era un uomo perbene, forse spaccone qualche volta, ma leale», racconta chi lo ha conosciuto. Perbene, certo. Ma meglio non occuparsi di spazzatura se frequenti il re del pattume romano che ti immagina – lo ammette lo stesso Di Carlo – «suo successore». Sarà un caso ma Marrazzo, che durante la campagna elettorale aveva promesso di bloccare l’iter del gassificatore di Malagrotta autorizzato da Verzaschi, si rimangia presto la promessa. Il presidente-giornalista fa anche un altro disastro: decide la costruzione di un secondo gassificatore ad Albano. A realizzarlo e gestirlo, senza gara d’appalto, grazie ai poteri emergenziali, sarà un consorzio formato dalle aziende pubbliche Ama e Acea e dal solito Cerroni (il progetto sarà bloccato dal Tar nel 2010 e mentre scriviamo si attende il responso del Consiglio di Stato). All’impianto dei Castelli Romani Marrazzo dedica buona parte del decreto con cui viene chiusa l’emergenza rifiuti nel Lazio. Siamo nel 2008, l’emergenza era iniziata nel 1999. Doveva durare nove mesi. Finisce nove anni dopo.

Emergenza inutile

Nove anni, 1999-2008: in mezzo i poteri speciali, le deroghe, l’emergenza. E decine di milioni di euro spesi durante la gestione commissariale. I risultati? Eccoli: il decreto Ronchi del 1997 stabiliva gli obiettivi di raccolta differenziata. Le Regioni dovevano raggiungere, entro il 2003, il 35 per cento. Dopo un decennio di emergenza, il Lazio è fermo al palo. I dati del 2008 confermano un misero 12,9 per cento. Solo nel 2009 il Lazio raggiungerà l’obiettivo fissato dalla legge per il 1999: il 15 per cento. Nello stesso anno la Campania, raggiunge il 29,3 per cento. Tra gli obiettivi della legge c’è anche la riduzione dei rifiuti prodotti. Nel 1999 la produzione di rifiuti urbani nel Lazio era pari a 2.755.485 tonnellate, di cui 2.131.514 solo a Roma e provincia. Dieci anni dopo sarà cambiato qualcosa? Sì, ma in peggio. La produzione di rifiuti nel Lazio, nel 2008, raggiunge tre milioni e 344mila tonnellate. Il rapporto Ispra, presentato nel luglio 2011, spiega dove finisce questa massa di rifiuti: «La sola provincia di Roma smaltisce in discarica oltre due milioni di tonnellate di rifiuti, di cui circa 1,5 milioni solo nel comune di Roma». Chi guadagna è presto detto: Manlio Cerroni. L’avvocato guarda la politica incapace e ingrassa aumentando il suo business.

Eppure aumentare la differenziata conviene. Una tonnellata in meno nella mega cloaca di Manlio Cerroni significa, al costo attuale, circa 70 euro in più nelle casse del Comune di Roma. Inoltre la carta, la plastica e l’alluminio riciclati sono una risorsa. Il recupero, poi, significa riduzione delle emissioni di Co2 nell’ambiente. Nel 2008 un rapporto di Mediobanca, realizzato per Civicum, chiarisce l’economicità del modello. «Il costo per tonnellata raccolta è al vertice a Napoli (281 euro), seguita da Roma (258 euro), mentre è minimo a Brescia (114 euro). In generale, laddove la raccolta differenziata supera il 30 per cento, il costo medio per cittadino risulta più contenuto (120 contro 156 euro)».

Viene il dubbio se sia incapacità o ci sia del dolo. Se commissari e amministratori «ci sono» o «ci fanno». Marco Verzaschi negli ultimi giorni di vita della giunta Storace firma l’ordinanza che autorizza la realizzazione del gassificatore di Malagrotta. Sarà pronto in pochi mesi. Ci vorranno anni, invece, per l’ok regionale all’allargamento di Maccarese dove c’è l’unico impianto di compostaggio che serve la capitale. Riceve 130 tonnellate al giorno di rifiuti, ma ne può trattare solo 80. E se fai la differenziata, ma non ci sono gli impianti, alla fine è come seminare su un terreno arido. L’impianto di compostaggio servirebbe a trattare l’umido, gli scarti alimentari, che soprattutto nelle regioni centro-meridionali rappresentano il 30 per cento dei rifiuti. La prima differenziazione, infatti, consiste proprio nel separare il secco dall’umido, evitando di portare in discarica la parte di rifiuto destinata a marcire e produrre il pericoloso liquido derivato dalla decomposizione della spazzatura: il percolato. Eppure nel dibattito pubblico nessuno ha mai invocato la parola magica «compostaggio». Nessuno ha mai dichiarato l’emergenza per costruire questi impianti, poco costosi ma assai utili. Le parole più in voga tra i commissari straordinari sono invece «inceneritore» e «discarica».

Tratto da "Roma come Napoli" di Manuele Bonaccorsi, Ylenia Sina e Nello Trocchia. Edito da Castelvecchi Rx © 2012 Lit Edizioni Srl.

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